Don Vittorio Cristelli

Ciao Don Vittorio!

Ci ha lasciato Don Vittorio Cristelli, prete, giornalista, filosofo, scrittore, cacciatore, l’anima etica dei cacciatori montanari di UNCZA. Nato il 28 novembre 1930 a Chatelineau, in Belgio, dove lavorava il padre minatore, emigrato da Miola di Pinè (TN). Ordinato sacerdote nel 1955, dopo una breve esperienza come viceparroco, prima a Mori (TN) e poi a Bolzano, nel 1965 si laurea in Filosofia, dedicandosi poi alla formazione sociale, alla docenza universitaria e soprattutto al giornalismo in varie testate.

Autorevole guida nell’etica professionale e nell’impegno pacifista, ha promosso varie iniziative per la diffusione di un’ecologia integrale attenta al grido della terra e sopratutto a quello dei poveri.

Dal 1967 al 1989 è stato direttore del settimanale diocesano “Vita Trentina”, dove con un intelligenza brillante e la sua penna graffiante e spesso scomoda, divenne ben presto un riferimento valoriale per le gente trentina in quegli anni tumultuosi di cambiamento che vanno dal Concilio Vaticano II° alla crisi degli anni ottanta, dal sessantotto alla caduta del Muro di Berlino. Una penna graffiante che non faceva sco

nti a nessuno, nemmeno ai potenti di allora, e che riuscì a dialogare con il movimento studentesco e operaio, a cogliere le istanze della “contestazione globale”. Come ricordato recentemente sulla stampa, nella stagione delle lotte operaie a Trento, durante le manifestazioni, i lavoratori cattolici sventolavano le pagine di Vita Trentina. Nel maggio del 1989 però il nuovo Vescovo lo ritenne troppo progressista e lo defenestrò. Alla notizia una folla si radunò per protesta nella piazza antistante la sede vescovile, a segno della grande stima dei trentini per quel prete scomodo.

Cacciatore capannista, “Vittorio Cristelli, come ci ricorda Alberto Folgheraiter nel suo articolo su Caccia Alpina del 2009, ha cominciato ad imbracciare il fucile negli anni Ottanta, complice una leggera sordità del suo amico don Dante Clauser. Il quale lo convocava all’alba per essere accompagnato nelle campagne di Lavis, in riva all’Adige, a caccia di conigli selvatici. Cristelli prestava l’orecchio, don Dante metteva la mira. Talvolta, il carniere trovava le sue prede”. Collaboratore della nostra rivista, guida filosofica di UNCZA, nei suoi scritti, raccolti nel volume “Sentinelle del creato. Spunti di etica venatoria ed ecologia integrale”, traspare l’amore per l’ambiente alpino e per quel sistema organizzato di valori di una pratica collettiva che definisce etica venatoria. In essi insiste spesso sulla “cultura della caccia” e sulla “naturalità dell’uomo nella natura” (Caccia Alpina n° 5/2007), indicato dalla Bibbia come “ordinatore” e non certo dominatore, un uomo che egli ha spesso definito, con le parole del rabbino Amos Luzzato “giardiniere del creato”.

Celebrante della S. Messa che ogni anno si tiene, per ricordare i cacciatori defunti, in val Ambiez al cospetto dell’”Edicola Sacra del Cacciatore”, il grande monumento bronzeo realizzato dal suo amico, anch’egli prete cacciatore, Don Luciano Carnessali, dove ha spesso condiviso assonanze di alto pensiero culturale in termini di etica e cultura venatoria con Mario Rigoni Stern. Vittorio ha raggiunto i due amici e vogliamo pensare che anche lassù, nelle praterie celesti, dissertino fra loro su questi temi per trovare qualche spunto per proseguire ad elargirci buoni insegnamenti.

Sandro Flaim

 

La cultura della caccia

(da “SENTINELLE DEL CREATO. Spunti di etica venatoria ed ecologia integrale” 2022 – Articolo apparso su “Il Cacciatore Trentino” n° 62/2005)

 Devo dirlo io, perché se lo dice lui può suonare autoincensazione. E i trentini sono allergici all’ autoincensazione, con qualche eccezione (che come si suol dire conferma la regola) tra i politici, specie quando c’è odore di elezioni.

La notizia che il Presidente della nostra Associazione, arch. Sandro Flaim è stato eletto alla presidenza UNCZA (Unione Cacciatori della Zona Alpi) è di quelle che sarebbero dovute rimbalzare sui giornali e sulle emittenti locali. Perché fa onore non solo a lui ma anche alla nostra associazione e a tutti i cacciatori trentini. E’ infatti un riconoscimento che denota attenzione da parte di tutto l’arco alpino al modo con cui è gestita la caccia in Trentino.

Ma a mia volta, da trentino doc, non mi limito ad esprimere soddisfazione e a fare le congratulazioni al nostro Presidente. Voglio scavare più a fondo e il terreno in cui affondare la sonda mi è fornito dall’intervista che a caldo il nuovo presidente dell’UNCZA ha rilasciato a Ruggero Faccin de “Il cacciatore italiano”. Il nerbo dell’intervista, che rivela anche il programma che Sandro Flaim ha in mente di realizzare, sta nell’espressione che egli usa e attorno alla quale circola il suo pensiero: “La cultura della caccia”. E’ questa cultura che, a suo parere, bisogna riscoprire anche da parte dei cacciatori perché diventi poi la loro carta di identità e la piattaforma di presentazione e di dibattito con l’opinione pubblica e nei rapporti con l’Ente Pubblico.

Già, perché la caccia è spesso e sbrigativamente considerata attività predatoria, una modalità sofisticata per riempire il carniere o, quando va bene, uno sport o un modo come un altro per passare il tempo libero. Se si parla di cultura, si concede tutt’al più e con evidente malignità, che possa essere la cultura dei cavernicoli e quindi regressiva.

E invece è una cultura che, come ogni altra, ha una tradizione e un’evoluzione alle spalle e che oggi si misura con la scienza. Sandro Flaim insiste nell’intervista sulla scientificità di determinate tecniche e scelte adottate oggi nella gestione del patrimonio faunistico.

La cultura infatti è visione di vita, che ingloba la comunità e l’ambiente. Per essere viva però ha bisogno dei mezzi che la traducano in opera. E questi mezzi sono da una parte le opere tramandate dalla tradizione e, dall’altra, le capacità di rinnovare in sé il momento creativo che ne fa rivivere profondamente i motivi. Non puro nozionismo dunque né solo acquisizione di tecniche. Questa semmai è solo cultura materiale, che accomuna l’uomo alla macchina. Con l’inevitabile supremazia della macchina sull’uomo. Riscoprire la cultura della caccia è ben altra impresa. Che attinge valori, senso comunitario e non individualistico, conoscenza del territorio, gestione oculata e rispettosa della fauna e perché no?, anche valori religiosi e contemplativi, raffigurati sinteticamente dal logo di S. Uberto. Tutto questo vedo sintetizzato nella formula-slogan adottata da Sandro Flaim quando afferma che è necessario “riannodare i fili della memoria”.

Ne consegue la possibilità dell’acculturazione, vale a dire dell’accostamento e del dialogo tra le culture. Con l’auspicio che si possa arrivare ad una sintesi armonica che superi la contrapposizione viscerale.

Non siamo per fortuna nostra all’anno zero e lo dimostrano il “Progetto Rudy” di presenza nelle scuole, le attività culturali dell’Ars Venandi, la costituzione dell’Ekoclub e l’imposizione didattico-culturale del Centro di Casteller. Su queste basi non è detto, per esempio, che la cultura della caccia e quella del protezionismo siano destinate a scontrarsi sempre e comunque. Utopia? Sogno? Mi basta dire che fa parte della cultura anche sognare. Coraggio Sandro, dacci sotto!

don Vittorio Cristelli